L’Oriente di Ezra Pound

Un viaggio alle radici dei Cantos: tra musica e poesia orientale.

 

di Martino Cappai

 

pound sdraia

 “Formica solitaria da un formicaio distrutto.
Dalle rovine d’Europa, ego scriptor.

.

Volendo condensare in due grandi insiemi gli eventi letterari a cavallo tra il XIX e XX  Secolo si può tranquillamente sostenere che il rinnovamento della poesia occidentale sia arrivato a tale compimento passando per due importanti fucine culturali, esse hanno dato i natali a quelle enormi rivoluzioni linguistico-poetiche che segnarono tutta la letteratura del Secolo Breve.
La prima grande officina  è quella d’Oltralpe, ovvero tutti quei lavori di ricerca e sperimentazione poetica che hanno determinato un punto di profonda rottura con la tradizione, sto parlando del lavoro svolto dai simbolisti francesi di fine Ottocento,  dove il compito d’apripista spettò a Charles Baudelaire, seguito poi da Mallarmè, Verlaine e Rimbaud e via discorrendo sulla tangente del Dottor. Destouches.
Il secondo baluardo farà tesoro dei risultati ottenuti dall’avanguardia francese per attecchire e svilupparsi agli inizi del XX Secolo all’interno del mondo anglosassone. In questo contesto tutti i protagonisti si possono raggruppare sotto l’egida dell’ammiraglio Ezra Weston Loomis Pound. La sua condotta si è mossa seguendo l’influenza di varie stelle, tra le quali gioca un ruolo decisivo quella d’Oriente. E’ proprio di questo suo ruolo pioneristico di fusione tra Orienti e Occidenti che voglio soffermarmi con questo mio breve scritto.

Il ruolo giocato dal poeta americano nel rinvigorire e rinnovare la poesia occidentale viene troppo spesso ridimensionato, minimizzato o semplicemente censurato.
Nel 1945 a guerra finita coloro che s’affrettarono a cambiare la bandiera passarono istantaneamente da vittime a carnefici e, senza pensarci più di tanto, ne adottarono maniere e crudeltà, facendo ad un poeta quello che non viene riservato nemmeno alle bestie da circo o da macello. Nei decenni a seguire continuarono a darsi da fare! Ce la misero proprio tutta, dandosi man forte, unendosi, facendo numero, società, condominio, sindacato e ponendosi a Sinistra, ma – che sia ben chiaro – non la sinistra di Majakovskij (“La’ oltre le montagne di dolore, un intatto paese di sole”) magari fosse… anche oggi continuano a lavorar di mascella rosicchiando con fame atavica i calcagni del gigante che sembra non voglia venir giù.
Persino la grande traduttrice e studiosa, Fernanda Pivano, da rispettabile sagrestana qual era, non utilizzò mai il suo prezioso ruolo di congiunzione tra la letteratura anglo-americana e il mondo delle lettere italiane per allestire un discorso un po’ più serio e articolato sul lavoro del Nostro. Eppure e stata lei ad occuparsi della vecchia e nuova letteratura d’Oltreoceano, andando pure a visitarlo personalmente tra le mura del manicomio penitenziario St. Elisabeths di Washington, ma la Pivano nel suo bigotto carrierismo preferì soffermarsi sui piccoli figliastri di Pound, ossia i ragazzotti della Beat Generation, i vari Kerouac, Ginsberg e Ferlinghetti, di sicuro molto meno scomodi e più accessibili all’incalzante gioventù ribelle degli anni Sessanta e Settanta. Ma tornando a noi sta di fatto che in Italia per accendere un primo lume all’interno dei codex poundiani bisognarà aspettare la pionieristica tesi di laurea di Piero Sanavio e a tutti i suoi successivi lavori di studio.
E’ in Italia che, forse più di qualsiasi altro luogo, si scagliarono contro Pound come cani all’osso. Nemmeno l’incontro del 1967 con Pier Paolo Pasolini servì a redimerne la figura di poeta e intellettuale. Gli estratti che si trovano su YouTube, provenienti dagli Archivi RAI, lasciano intravedere un Pasolini pacato e commosso che seduto di fianco al vecchio poeta si accinge a decifrarne e interpretarne i sobilli visionari. E’ un Ezra Pound non più saettante e apollineo, ma un anziano ferito, ridotto al silenzio da quei 13 anni di detenzione responsabili della distruzione irrimediabile di quel che Eugenio Montale apostrofò come “il festival della letteratura mondiale che si svolge nella testa di Pound”. Questa ormai celebre intervista è stata il personale modo di Pasolini  per ufficializzare le sue scuse, dopo che, anni prima, si oppose istericamente alla traduzione e pubblicazione italiana dei Cantos [1].
Paradossalmente i primi  – seppur timidi – riconoscimenti dei meriti letterari arrivarono proprio dalla sua stessa America secondina attraverso la consegna del Premio Bollingen per i Pisan Cantos nel 1948, quando ancora il poeta stava tra le mura dell’ospedale psichiatrico. Mentre gli altri poeti o scrittori, aiutati o ispirati direttamente da lui, furono riconosciuti e premiati con le maggiori onoreficienze internazionali. A ben quattro di loro toccò il premio Nobel: Radindranath Tagore, W.B. Yeats, T.S.Eliot e Ernest Hemingway.
Per Pound il vero insulto consiste proprio in questo, ovvero nella voltuta dequalificazione del suo lavoro poetico. Non è stato tanto l’averlo rinchiuso come una fiera da circo, in quel che Piero Sanavio apostrofa come “gulag democratico”, non son state le catene della “gabbia del gorilla” tra gli escrementi e i riflettori notturni del campo di concentramento americano di Pisa (Coltano), ne’ tanto meno è stato l’internamento nell’ospedale psichiatrico di Washington ad offendere Pound, ma sono stati i giudizi degli ultimi uomini, dei Lillipuziani crapulatori che sempre misurano e giudicano in base alla loro piccolezza.

 Pound_Pasolini

Parlare di Pound è un’impresa ardua. Non esiste opera del Novecento che lo escluda così come non esiste opera che riesca veramente a contenerlo. Cimentandosi nel suo lavoro si corre il rischio di perdere l’orientamento e di andare ad imbattersi in quell’enorme ginepraio che è stata la sua vita. Senza dubbio si può sostenere che tutta la letteratura del Novecento sia in debito con lui, da T.S Eliot, a James Joyce, a Yeats, a Carlos William Carlos, a tutta la Beat Generation. .
Ernest Hemingway dirà a tal proposito: “Qualsiasi autore nato in questo secolo che può dire onestamente di non essere stato influenzato dall’opera di Ezra Pound, merita più la nostra compassione che il nostro biasimo.”

M’amour, m’amour
cos’è che amo e dove sei?
Ho perso il mio centro a combattere il mondo.
I sogni cozzano e si frantumano –
e che ho tentato di costruire un paradiso terrestre
Ho provato a scrivere il Paradiso.
Non ti muovere,
lascia parlare il vento
questo è Paradiso
Lascia che gli Dei perdonino quel che
ho costruito,
chi ho amato cerchi di perdonare
quello che ho costruito […]
Uomini siate non distruttori.
    ( Appunti per il Cantos CXVII e seq.)

 

Il suo percorso di poeta e pensatore  affronta un vastissimo oceano di saperi, le cui acque toccano tutto lo scibile letterario da Omero a James Joyce, passando per Confucio, Cavalcanti, Bertran De Born, Villon, Dante etc… i suoi Cantos (composti tra il 1915 e il 1962 e suddivisi in 120 sezioni) hanno l’ambizione di fondere la sua storia con la storia del mondo e dell’umanità, saldando pionieristicamente classicismo e modernità.
La musicalità del verso è il perno indiscusso su cui ruotano le strutture dei versi, posizioni espressamente palesate nel suo L’ABC del Leggere. L’orecchiabilità del verso è un punto di riferimento imprescindibile per la metrica dei suoi componimenti dove è la musica a far da padrona, come egli stesso sostiene nella prima citata intervista di Pasolini: “Sono fatti a casaccio, sono fatti a casaccio dicono… ma non è così. E’ musica. Sono temi musicali che si ritrovano”. Il linguaggio viene concepito come il risultato di un intreccio tra suono e vista, a riguardo l’amico poeta William Yeats disse che appena i Cantos saranno ultimati andranno considerati alla stregua di una fuga di Bach per via dei vari motivi che sempre riemergono e ritornano a pulsare.

Fu la violinista statunitense Olga Rudge, sua musa ed amante – con la compagnia del compositore George Antheil – ad iniziare Pound alla musica, insieme organizzarono numerose stagioni concertistiche nella cittadina ligure di Rapallo. Sempre grazie all’aiuto della Rudge Pound riesumò dal dimenticatoio niente poco di meno che la figura di Antonio Vivaldi. Riportando alla luce qualcosa come 309 spartiti autografati dal compositore veneziano. Questo plico di carte giaceva tra la polvere di qualche scaffale della Biblioteca Nazionale di Torino, in balia di speculatori che una volta ogni tanto simulavano di scovarne uno o due con lo scopo di farsi due spiccioli e uno straccetto di fama.
Dopo che Pound li riportò alla luce questi spartiti vennero suonati per la prima volta presso le sale del palazzo senese di proprietà del conte Guido Chigi Saracini, la struttura medievale è oggi sede della famosa Accademia Musicale Chigiana. Che ne dica quel rosicone di Federico Maria Sardelli (autore del libro L’affare Vivaldi e responsabile del Catalogo Vivaldiano presso la Fondazione Cini di Venezia), Antonio Vivaldi rimane una scoperta novecentesca da attribuire ad Ezra Pound esattamente come lo è stato Caravaggio per Roberto Longhi.

Pound e Olga Rudge

L’onnipresenza dell’elemento musicale (nella vita come nell’opera) fa sì che Pound venga inserito a pieno titolo tra le schiere di quella antica tradizione di aedi legati al suono. Per lui il mondo moderno è fondato sul sonoro, individua il carattere nevralgico della cultura occidentale tra il segno e il suono, a tal riguardo invito ad approfondire i nessi tra musica, pittura e movimento presenti nelle avanguardie londinesi di primo novecento da lui fondate e sostenute come il Vorticismo e dell’Imagismo. Ma per evitare di perderci nel ginepraio poundiano torniamo al nostro discorso e, superata la questione della musica e della musicalità all’interno del verso, si passa all’importanza del segno e all’ossessione per gli ideogrammi cinesi.
Pound individua all’interno della civiltà orientale l’elemento determinante per lo svecchiamento e il rinnovo della poesia inglese. Vedendo il tanto agognato collante strutturale tra testo, musica e segno nell’essenza stessa degli ideogrammi. Alla poesia e alla letteratura cinese vi si approccia da completo autodidatta già negli anni londinesi compresi tra il 1908 e il 1920. Ma questo interesse verrà approfondito con maggiore rigore e dedizione negli anni Trenta in Italia, in concomitanza con la stesura delle sue posizioni economiche, tra l’altro anch’esse formulate sotto l’influenza degli antichi testi cinesi.
Quando nel Quarantacinque venne prelevato dalla sua casa di Rapallo per essere rinchiuso nella “gabbia del gorilla”, gli trovarono in tasca una copia dei Quattro Libri di Confucio, questo piccolo testo fu la sua preziosa e unica compagnia, la piccola grande luce nel buio infernale del DTC pisano. Da esso, oltre a trarre gli input per i Pisan Cantos, stese la sua interpretazione poetica dell’Asse che non vacilla (Chung Yung). Redò una personalissima versione dell’antico testo confuciano utilizzando unicamente le sue limitate conoscenze degli ideogrammi, ma se diamo ascolto al commento del poeta e traduttore cinese Wai-lim Yip si può notare come, nonostante tutto, Pound riesca a penetrare nelle intenzioni e nei contenuti dell’autore mediante quella che possiamo forse chiamare una specie di “chiaroveggenza”. Giano Accame nel suo lavoro del 1995 “Ezra Pound economista. Contro l’usura”, ricorda che alla fine della guerra nel 1945 questo testo venne distrutto dai vincitori per grossolana ignoranza, perché ne scambiarono l’antichissimo titolo con chissà quale allusione all’asse Roma-Berlino.

Pound ideogrammi 2.png

Andando a ritroso con gli eventi è giusto sottolineare che il suo incontro col mondo dell’Estremo Oriente non avviene esattamente con quello dell’antica Cina, ma con la cultura giapponese. Il suo ruolo pionieristico di studio e di diffusione della poesia giapponese Haiku non è mai stato doverosamente evidenziato, eppure è da considerare come il principale propagatore in Occidente di tali opere.
Per Haiku si intendono quei brevi componimenti formati da soli tre versi a loro volta composti da 5-7-5 sillabe, un tipo di poesia consacrata una volta per tutte dal lavoro del maestro Matsuo Bashō (Ueno, 1644 – Ōsaka 1694), che dal XVII secolo darà autonoma dignità a tali componimenti, ammantandoli con un velo di filosofia Zen. Per evitare di dilungarmi troppo vi lascio ad una sintetica spiegazione tratta dall’Impero dei Segni di Roland Barthes: “L’arte occidentale trasforma l’impressione in descrizione. Lo haiku non descrive mai: la sua arte è anti descrittiva nella misura in cui ogni stadio della cosa è immediatamente, caparbiamente e vittoriosamente in una fragile essenza di apparizione”.
L’incontro con la cultura del Sol Levante avviene durante gli anni londinesi quando si recava a trascorrere interi pomeriggi tra i corridoi del British Museum, è proprio in queste sale che avvenne la scoperta della poesia nipponica. Una delle sue prime brevi poesie The River fu scritta su ispirazione dei brevi componimenti Haiku che accompagnavano le stampe di Hokusai e Utamaro. Erano scritti giapponesi di antichi guerrieri che nelle atrocità della guerra esprimevano in versi il proprio amore per la bellezza della natura.

Sempre in questi anni londinesi è Sir Laurence Binyon che intorno al 1909 permette a Pound di avviare la sua ricerca di studio e comprensione della cultura del Sol Levante. I suoi libri di arte ed estetica giapponese e cinese come The Flight of the Dragon e Painting in the Far West furono determinati per l’introduzione all’interno del cosmo poundiano di concetti come “vitalità ritmica” o “ritmo spirituale”, che saranno già nel 1917 al centro dalla sua raccolta di poesie Lustra, per poi divenire il collante poetico o meglio “l’ingrediente segreto” del flusso narrativo dei Cantos.
Pound vide nell’Haiku l’elemento mancate per compiere il definitivo salto qualitativo alla poesia inglese (oltre che della propria), svincolandosi definitamente dalla moda post-impressionista e dagli ampollosi strascichi vittoriani. E’ così operando di lima, cartavetrata e cesello scarnifica lo scritto riportandolo all’essenza, esaltando l’attimo in cui l’oggetto esteriore e oggettivo si trasforma (o meglio “saetta”) in una cosa interiore e soggettiva, partendo da una meditazione nata dalla lettura di questo celebre Haiku di Arakida Moritake (1473-1549):

Il fiore caduto
Rivola sul ramo,
una farfalla.

 

Per Pound son stati i giapponesi a comprendere la bellezza e la nobiltà dell’essenziale. Un cinese disse molto tempo fa che se non si è capaci di esprimere quello che si ha da dire in dodici linee è meglio stare zitti. Bene, i giapponesi sono andati oltre, riducendo all’osso il componimento, sino al risultato di soli tre versi.
Un ruolo determinante per la reale conoscenza di questo universo è da attribuire all’incontro con Ernest Francisco Fenollosa (Salem, Massachussetts, 1853 – Londra 1908), quest’ultimo, proveniva da decenni di studi e ricerche in terra nipponica dove lavorava come professore presso la prestigiosa Tōdai (l’Università Imperiale di Tokyo) affiancato da intellettuali del calibro di Okakura Kakuzō (1862 – 1913). Fenollosa si dedicò con passione alla diffusione dei raffinati codici estetici giapponesi e cinesi. L’incontro con Pound avenne post-mortem, ovvero nel 1913, quando Mary Fenollosa (moglie dello studioso) consegnò al Nostro i manoscritti del marito morto 5 anni prima. E Pound fu il primo in Europa ad impegnarsi nella pubblicazione degli studi fenollosiani sul Giappone, sempre a lui si deve l’arrivo in Europa del teatro nipponico con la pubblicazione nel 1916 dell’importante testo “Noh”, or, Accomplishment: a study of the classical stage of Japan. Tra i vari scritti che si preoccupò di curare e far pubblicare postumi spicca per importanza il saggio The Chinese written character as a medium for poetry, edito nel 1918. E’ con questo ultimo scritto che Fenollosa getta le basi teoriche per quello che Pound poi realizzerà concretamente, ovvero intendere gli ideogrammi cinesi come la lingua-modello per il rinnovo della poesia occidentale. È in essi che vede il modo più consono per mettere nero su bianco la sua immaginazione di tipo visivo e la sua esigenza di esprimersi per immagini rispondenti a cose visivamente concrete.

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Personaggi come Jack Kerouac, Gregory Corso, Allen Ginsberg, Philip Whalen, Lawrence Ferlinghetti etc… faranno di tali conquiste il loro cavallo di battaglia. Il responsabile della diffusione dell’opera poundiana e della componente orientale tra i ragazzotti della Beat Generation è stato il poeta e saggista Gary Snyder (1930 – tutt’ora su questo mondo), che in gioventù studiò con serietà e dedizione tali tematiche, non a caso è stato tra i primi a studiare gli scritti di D.T. Suzuki oltre che aver vissuto tra il 1956 e il 1968 in un monastero tra le montagne giapponesi. La poesia di Snyder è stata da sempre legata alla quella di Ezra Pound, un amore sottolineato dallo stesso Kerouac tra le pagine del celebre romanzo del 1958, I Vagabondi del Dharma.
Se Thomas Eliot apre il suo The Wast Land chiamando Pound  “Il miglior fabbro”,  Gary Snyder lo considera come “l’ascia” che anni prima lo intagliò e lo modellò. Questo evento viene narrato all’interno della poesia Axe Handles, dove con la compagnia del figlio Kai costruisce un manico per una testa d’accetta. In questo componimento del 1983 viene messo nero su bianco il passaggio di testimone tra la tradizione orientale e quella americana/occidentale che tramite Pound, è andata ad influenzare l’inchiostro di tutto l’universo letterario del Dopoguerra.

[…] Così mi metto a intagliarne il manico
Con l’accetta e quella frase
Imparata da Ezra Pound
Mi suona nelle orecchie:
“Facendo il manico di un’ascia
La forma non è così lontana.”
E dico questo a Kai
“Guarda: facciamo il manico
Secondo il manico dell’ascia
Con cui tagliamo! ”
E lui capisce. E io la sento ancora:
la frase del Wên Fu di Lu Ji, quarto secolo
d.C. “L’arte dello scrivere”: “Facendo il manico
Di un’ascia
Tagliando il legno con un’ascia
Il modello è davvero alla portata.”
E so che Pound conobbe quel testo,
egli fu un’ascia,
e ora lo sono io,
E mio figlio un manico
Da formare presto e ancora in là,
Stampo e forma, cultura in opera
Così si va.

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[1] Pasolini si rivolge a Pound con una poesia mutuata dallo stesso poeta americano e riferita originariamente a Walt Whitman: «Stringo un patto con te Ezra Pound./ Ti detesto ormai da troppo tempo./ Vengo a Te come un fanciullo cresciuto che ha avuto un padre dalla testa dura./ Sono abbastanza grande ora per fare amicizia./ Fosti Tu ad intagliare il legno./ Ora è tempo di abbattere insieme la nuova foresta./ Abbiamo un solo stelo ed una sola radice./ Che i rapporti siano ristabiliti tra noi». E la risposta del vecchio Pound fu: «Bene… Amici allora… Pax tibi, Pax mundi»
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