Confessioni di una lente non pericolosa — (NTLPD)

Di Damiano Rossi

Sud Sudan 09/07/2011— La nascita di uno Stato

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io faccio gli scongiuri, come sempre… perché ogni volta ci deve essere un prete o una suora che viaggiano con me su questi bus? E perché tutti i conducenti chiedono loro di dire una preghiera prima di iniziare il viaggio? Tutti si mettono a pregare con loro e io li guardo e poi guardo il cielo, anzi no, il soffitto di questo vecchio sgangherato mezzo di trasporto che parte da Kampala e, dopo circa dodici ore di strada, ci condurrà sino a Juba, quella che tra poco meno di tre giorni sarà la capitale del nuovo stato africano che prenderà il nome di Sud Sudan. Sono seduto ai primi posti e accanto a me c’è il solito ignoto, il solito signore in completo grigio, giacca e cravatta con la giacca sempre due misure più della sua. Li trovi sempre, dove cavolo andranno vestiti così su un autobus, per dodici lunghissime ore. Sono un esercito, sparsi su tutte le rotte africane…non capisci mai che lavoro facciano, forse non fanno nulla, tengono solo a essere eleganti…e mi giro e ne vedo altri, simili, sparsi sulle varie file di sedili…li guardo tutti, guardo tutti i passeggeri, le mamme con i bambini appena nati, con i fratellini e le sorelline, gli anziani di un altro tempo e i ragazzi di questo tempo, ormai alla moda, con cuffie dalle quali senti uscire canzoni nigeriane da discoteca. Cosa andranno a fare a Juba? Beh, molti di loro sono di quelle parti, in Uganda solo per studio o per affari o scappati anni prima da quelle due devastanti guerre civili con Khartoum che hanno fatto più di due milioni di morti e cinque milioni di rifugiati. Tornano per celebrare la tanto sognata indipendenza. E gli ugandesi invece? Che ci fanno sul bus? Vanno a fare affari…gli ugandesi hanno fiuto per gli affari e un nuovo Stato è sinonimo di business. Meglio quindi gettare subito le basi, non c’è da perdere tempo. E io invece? Come spesso mi accade, l’unico bianco. Che ci faccio lì? Chissà cosa pensano i miei compagni di viaggio vedendomi lì ai primi posti, con due zaini enormi che non mollo neppure un attimo. Dentro c’è la mia attrezzatura, le mie macchine fotografiche, il mio portatile e dei ricambi che mi devono bastare per questi giorni. Il viaggio è lungo, il caldo si fa sentire così come la mia insofferenza per gli autobus… non trovo la posizione, continuo a muovermi con la schiena, le gambe no, quelle sorreggono i miei due zaini… e sudo… e sto male…e finalmente riesco ad addormentarmi, subito dopo passata la frontiera di Nimule…

Nascita di una nazione

Epoi arriviamo a Juba, al parcheggio degli autobus. Sono le 7 di mattina del 7 luglio 2011, tra due giorni sarà il giorno tanto atteso, la festa… Devo cercare un posto in cui dormire, che mi farà da base. Gli alberghi sono troppo cari, centinaia di dollari per una stanza… per fortuna a Kampala conosco una ragazza sud sudanese che mi ha dato il contatto della cugina. Prima devo però recuperare una SIM del posto. Trovata… la chiamo e le dico in che punto della città mi trovo. Passano due ore ed eccola arrivare su un taxi moto. Insieme andiamo verso il sud della città, nel quartiere in cui lei affitta una piccolissima casa di mattoni, una sola stanza all’interno della quale il letto ci sta a mala pena. Quella sarà la mia base. Per lavarmi ci sono dei bidoni che utilizzerò una volta uscito all’esterno della casa, nascondendomi dietro a un albero, nella speranza che i vicini non stiano facendo la stessa cosa in quel momento. Va bene così, pochissimi dollari spesi e un posto in cui nessun altro fotografo o giornalista possano venire a metter becco. L’unico problema, la sicurezza, di notte. Per questo, una volta dentro, prima di dormire, sposterò il letto proprio contro la porta… nessuno potrà entrare… la finestra è troppo piccola, solo per topi. Non sembra una città pronta a un simile evento, sembra una città sonnolente e svogliata… i fantasmi di tutti quei morti sono ancora ben presenti… diffidenza, questo quel che si respira… la gente mi guarda con espressione quasi ostile, forse tipica dei Dinka, di questa etnia che qui governa, che qui comanda. Altezzosi e fieri, si sentono superiori a tutto e tutti, devi stare attento a guardarli negli occhi, rischi subito la lite ed è così che io mi aggiro per le strade non asfaltate della città, alla ricerca dei diversi uffici che mi porteranno a breve ad avere il pass come fotogiornalista per poter testimoniare il giorno X. È così che passo il 7 e il 8 di luglio… tra un ufficio e l’altro, tra carte da compilare e connessioni WiFi rubate agli alberghi di lusso in cambio di una coca cola pagata a uno dei tanti camerieri sfruttati e sottopagati che mi lascia stare ai tavolini del bar.

Appuntamento con la storia

E ci siamo finalmente. È il 9 luglio 2011, sta nascendo un nuovo stato e io ci sono, ne sono testimone, sto fotografando un avvenimento storico.

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Mi sento fortunato, al centro del mondo… sono le 6 di mattina e raggiungo la piazza principale in cui avverrà la cerimonia. Finalmente tutte le strade sono affollate, la gente danza, canta, quasi a voler esorcizzare e scacciare una volta per tutte i fantasmi del passato. Pian piano tutta la piazza si riempie, cominciano le parate, le sfilate, arrivano i presidenti di moltissimi Paesi africani e non solo, c’è pure Ban Ki Moon, il segretario generale delle Nazioni Unite…e pure lui, Omar Al-Bashir, presidente del Sudan, con un mandato sulla testa da parte della corte penale internazionale per crimini di guerra…e siede a pochi metri da Ban Ki Moon…ma oggi forse tutto è concesso, sono tutti amici o almeno fanno finta di esserlo. Oggi si pensa soltanto a danzare e a cantare e si spera…si spera che per questa nuova Repubblica cominci una nuova era.

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Sebbene ricchissimo in petrolio, questo nuovo Paese è uno dei meno sviluppati in Africa, con una mortalità infantile sotto i 5 anni di 112 su 1000 e materna tra le più alte al mondo, se non la più alta… è un Paese che galleggia sul petrolio ma non ha raffinerie, quelle sono al nord, nell’altro Sudan, quello di Al-Bashir che quindi economicamente li tiene ancora per la gola… ma oggi si pensa solo a far festa, ad ubriacarsi, a cantare e danzare, per tutto il giorno, sino a notte tarda…e io scatto, immortalo questi momenti storici e non mi accorgo che sono già le 5 di sera… devo mandare le foto all’agenzia il prima possibile, devo andare dal mio amico dell’hotel di lusso che per una bibita mi da il bigliettino con la password del WiFi… e intanto chiamo i miei genitori in Italia e dico loro quel che è accaduto oggi, racconto loro che oggi sono stato presente mentre un pezzo di storia veniva scritto…e sono davvero contento, mi sento un privilegiato…e le fotografie arrivano in un attimo in Germania e il giorno dopo negli Stati Uniti, in California, foto del giorno… E’ tempo di partire, di lasciare la casetta che mi ha fatto da base durante questi giorni…l’autobus è lo stesso dell’andata… si riparte, verso l’Uganda. Ma questa volta, invece che metterci 12 ore, ne impieghiamo 36 per arrivare a destinazione. Dopo un centinaio di chilometri da Juba, il bus si rompe in mezzo al nulla. Passiamo così tutta la giornata e la notte, seduti sul bus ad aspettare. Solo il giorno dopo ne arriva un altro, ma già carico di passeggeri…ed eccoci quindi tutti su un unico mezzo, 120 persone, galline, capre e un bianco, tutti schiacciati verso Kampala.

E io che mi dicevo: “Mah, se già i primi giorni sono così sfortunati per questo Paese…” e senza saperlo avevo letto nel futuro…siamo a fine 2017 e ormai da più di tre anni il Sud Sudan è in preda a una lotta interna fomentata dagli odi tribali, da Khartoum e, come sempre, dal dio denaro con le sue compagnie petrolifere straniere che stanno dietro ai vari gruppi ribelli formatisi…

E la storia si ripete

Centinaia di migliaia di persone che fuggono da questa guerra e trovano rifugio nella vicina Uganda. Come nel campo di Kiryandongo, dove metterò piede nel gennaio 2015…

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Confessioni di una lente non pericolosa – continua nella prossima puntata

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