Agognate Povertà #6: Un Giorno

In mattinata avevo appuntamento con un uomo che portava vesti d’avvocato. Mi recai da lui perché ero stato oggetto di una truffa. Mi tranquillizzò, chiedendomi se avevo mai visto “Striscia la notizia”. Potevo avere in tasca qualcosa ma non ce l’avevo; decisi così di vivere l’avventura. Quel giorno compiva gli anni una persona a me molto cara. Così passai dal fioraio, ove oltre a lasciargli un libro che trattava una particolare visione del mondo e delle relazioni, gli presi un fiore. Il fiore aveva due bocci e un gambo; prima dei bocci si diramava per pochi centimetri in due. I bocci non erano ancora fioriti ed erano di colore arancio. Ma non era un arancio. Non chiesi il nome del fiore al fioraio ma lo abbracciai come sempre faccio con lui, anche quando non gli prendo i fiori. Uscito dal laboratorio del fioraio feci una fotografia al fiore con lo smartphone e mandai una foto a un’altra persona a me cara. Non commentò l’aspetto del fiore ma mi chiese solo per chi era, anticipando il nome di una persona. E sbagliò. Poi mi chiese dove ero. Dalla fotografia si riconoscevano le mattonelle del marciapiede e quindi non risposi aspettando che i suoi occhi capissero. Anche lui varcava un tempo con me quel marciapiede. La persona a me cara a cui portai il dono avrebbe dovuto mettere questo fiore in un vaso d’acqua e aspettare per pochi giorni (2-3) lo sbocciare. Resi felice la persona a me cara. La sua voce si fece diversa e gli occhi brillarono. Emise qualche frase, ma come sempre accade quando ascolto le parole di questi tempi, pensai che poteva rimanere in silenzio. Il volto parlava di più e anche la mia immaginazione stava meglio. Anche l’udito. La persona a me cara ha una bella voce solo dopo aver fatto sesso. Nelle altre ore in cui parla emette suoni con toni alti che somigliano a ragliate. Ma se fossero ragliate sarebbero suoni puliti e primi; essendo suoni sporchi non sono ragliate. Ha una voce sporca e meticcia la persona a me cara. Una voce umana che tende all’animalità. Per altri uditi penso sia un piacere ascoltare quei suoni. Quindi presi un treno che mi portava a Firenze Rifredi. In un ufficio di quella zona avrei dovuto accendere il computer dal quale sto scrivendo, collegarmi a skipe e parlare con una persona che non avevo mai visto. La vidi attraverso il canale video di skipe per la prima volta. Non rimasi attento all’immagine ma a ciò di cui dovevamo parlare; cosa stava scrivendo, cosa stava ricercando e cosa pensava del mondo. Il suo mondo. Chiedere a una persona quale sia la sua ricerca è come chiederle cosa t’interessa della società, dell’uomo e la domanda potrebbe essere questa: in tutta questa storia dell’uomo, in queste migliaia di anni, tu cosa hai capito? Mi venne in mente un cameriere, una persona che non vedevo da anni ma che sento da qualche mese e che penso sia la più lucida che abbia conosciuto. Anche lui aveva la sua ricerca che era affine alla mia. Non lo condividevo e non lo condivido; ma solo perché arrivo dopo a ciò che lui avverte prima. La chiamata si concluse parlando del Corriere della Sera e del Domenicale del Manifesto, Alias D. Nel mezzo ci fu questo percorso; divergenza e affinità fra le memorie passate e contemporanee all’era del (“La condizione postmoderna: rapporto sul sapere” di Jean Francois Lyotard, “La società dello spettacolo” di Guy Debord. Ci sarebbero tanti altri testi ma questi bastano e se si può trovare riduttivo fa parte del cammino dell’uomo). Poi con un amico montai un video. Poi andai a Prato con un altro amico per cercare il Museo di Palazzo Pretorio. Essendo in quel percorso quattro persone ritrovate assieme per la prima volta, facemmo cattivo uso della lingua e di google map; capitammo così alla Camera della Confcommercio di Prato. E lì rimanemmo. Sempre lì, ci chiesero di appendere delle spille al petto. Io desistii. Vedemmo assieme 7 piccoli documentari. Ciò che vidi era orchestrato da un regista che fa cinema come questo giocatore di calcio tocca il pallone. E tutti lì dentro

ne rimanemmo estasiati

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