Frattaglie Filippine #2 – Frattaglie Thailandesi

Data l’incostanza dell’autore, questa rubrica si sposta immediatamente dalle Filippine alla Thailandia, tradendo così in parte il suo motivo d’essere. In parte ma non del tutto, perché molte sono le sensazioni che si accomunano e molteplici gli intrecci che le veicolano. Alcuni avvenimenti:

Io che piscio in piedi in un locale di Bangkok, un impiegato del bar si avvicina e mi massaggia le spalle mentre svuoto la mia anima al vespasiano. Poi mi segue e mi offre un asciugamano caldo per le mani.

Fuori da un tempio a Chiang Mai c’è la possibilità di conversare liberamente con dei monaci, i quali ne approfittano per migliorare il proprio inglese. Ci sediamo con un ventiduenne del Laos e un venticinquenne cambogiano. La mia età, due pasti al giorno solo se ricevuti in dono, nessuno sfogo sessuale concesso. Abbiamo paura di dare fastidio rimanendo troppo, e invece sono loro a non lasciarci più andare via.

Un tassista mi accarezza il braccio pieno di peli, poi la barba, e ride. Il termine per indicare i caucasici, “farang”, deriva probabilmente dalla storpiatura di “Franchi”, ed è simile alla sineddoche filippina per cui ogni bianco viene apostrofato come “Joe” o “americano”.

Un ragazzo con occhiali grossi e un cappello da vichingo, con vistose corna nere, vende tè caldo da una bancarella a Pai, meraviglioso paesino vicino al confine col Myanmar. Il tè è servito con un mestolo in una canna di bambù con delle incisioni in thai, che si può conservare. La mia amica ne sceglie una oblunga, chiediamo al ragazzo che cosa significhi la scritta e lui la rigira tra le mani un po’ stupito, sentenziando: “Questa è una squadra”. Dice: “Manchester United”.

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Sono invitato come special guest a parlare di me in inglese nel gruppo di supporto linguistico tenuto dalla mia amica. Gli studenti al terzo anno di un college internazionale capiscono a malapena cosa dico, devo parlare lentamente e usare concetti semplici. Bisognerà esplorare altre forme di linguaggio.

In un piccolo locale all’aperto suona un gruppetto indie. Le cameriere sono così ubriache che hanno difficoltà a camminare, la loro minima conoscenza della lingua inglese suggerisce che sono probabilmente immigrate birmane in fuga dalla povertà. Quando il gruppo finisce si mettono a ballare sui tavoli trasformando il cortile in una specie di night club. Se qualcuno prova a toccarle, tuttavia, interviene la loro capa. Quest’ultima, ventun anni e ciglia finte, distribuisce ancora più alcool alle cameriere e le indica i tavoli presso cui dirigersi.

Il luogo dove ho trascorso più tempo nella capitale è il mercato degli amuleti, una lunga serie di bancarelle che si snoda dietro al Palazzo Reale. Le piccole raffigurazioni del Buddha o simili portano con sé le superstizioni più disparate, e che del resto ignoro. Forse sono solo l’equivalente delle nostre sorprese delle uova Kinder, ma ne rimango molto affascinato. La maggior parte degli acquirenti sono collezionisti locali che scrutano gli oggetti con piccoli monocoli, oppure monaci.

Una sinusite, la testa gonfia e pronta ad esplodere, lo sperma nero, cicatrici sulle braccia grondano pus. L’insonnia che torna, buia e scura notte, con l’alcool in circolo da giorni senza il quale non riesco più ad addormentarmi, intossicato dal mio stesso sangue. Un groppo in gola grosso come il colpo al drago rosso. Tuttavia il sudore si asciuga, la pelle si squama e la carne si ricuce. Di solito.

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